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FLAVOURS
#32: It's called love at first, and doesn't hurt

"Non lo so."

Sapeva che avrebbe risposto così, eppure sentirlo era stata comunque una sorpresa. Forse credeva che non l'avrebbe detto, forse semplicemente non si aspettava che avrebbe avuto il coraggio di farlo; eppure aveva ammesso quella debolezza e Hyne, un momento di debolezza così totale in Squall Leonheart poteva essere ricordato per la vita. Forse erano quegli occhi bassi, forse era la postura stessa del corpo che pareva essersi arreso alla verità -lui davvero non lo sapeva.

Cercò di non pressarlo troppo, ma comunque la curiosità ebbe di nuovo la meglio su di lei; come si poteva biasimarla, in fin dei conti? Era un anno che stavano insieme e ancora non aveva sentito nulla, da quelle labbra, parlarle di sentimenti. C'erano stati gli abbracci, i baci, le mani che si stringevano e si cercavano sempre, c'erano stati i momenti duri e le coccole ad addolcirli, c'erano stati i momenti sereni e la semplice voglia di stare accanto a lui che li avevano completati. Ma nulla, da quelle labbra, le aveva mai parlato non d'amore, ma almeno di affetto; e a volte si chiedeva se lui la considerasse un'amica un po' speciale, e non fosse tutto un'illusione delle sue.

A volte, era la sua vanità a parlare, il desiderio femminile di sentirlo romantico, innamorato, suo, in qualche modo; a volte era solo il semplice bisogno di sapere che ruolo avesse nella sua vita, che importanza avesse per lui...che cosa, chi fosse per lui.

Si poteva biasimarla, se ora voleva un po' di chiarezza, da parte sua? Se quella domanda che si era tenuta sulla punta della lingua per mesi ora sembrava bruciare, come un cibo troppo piccante che non si riesce ad ingoiare?

Dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio, lei sussurrò quasi timorosa, arricciandosi una ciocca di capelli intorno al dito, "io credo che tu lo sappia...ma non vuoi ammetterlo, o non vuoi dirmelo..."

Stavolta toccò a lui passarsi una mano tra i capelli, e voltarsi a guardare l'interno della Zona Segreta, dando le spalle al Garden illuminato sullo sfondo scuro della notte. Che cosa poteva mai dirle? Lui davvero non sapeva cosa provasse per lei. Era tutto così nebuloso, così fosco e incerto, e lui così inesperto e incapace di parlare. Aveva sperato, nel corso di quei mesi, che i gesti potessero bastarle; aveva sperato che lei capisse che portarla lì, violando le regole che scandivano la sua vita intera, significava tanto, tantissimo.Aveva sperato che lei capisse i suoi sorrisi timidi nei momenti di gioia e in quelli di tristezza, aveva sperato che lei intuisse che, dietro a quella maschera, ci fosse la sua sincera preoccupazione per lei. Aveva sperato che lei capisse che toccarla, foss'anche solo per tenerle la mano, era un passo avanti enorme, per una persona come lui. Aveva sperato che tutto questo, nel silenzio, potesse bastarle perché lui non era affatto capace di trasferire tutte quelle sensazioni in frasi dal senso logico, che non fossero tanto ingarbugliate da risultare incomprensibili.

Come poteva spiegarle che non riusciva a staccare gli occhi dal suo viso? Come poteva dirle che bastava quella sua espressione dolce e sorridente a rasserenarlo, che bastava la sua espressione stupita a rilassarlo, che bastava vederla per dimenticarsi di tutto quello che era capitato durante quel giorno, durante quell'anno, durante quella vita?

Oppure, come poteva spiegarle che non riusciva a starle accanto senza tenerla per mano? Come poteva dirle che muovere i suoi primi passi nel mondo che lei gli aveva aperto era così dannatamente difficile che lui, un guerriero così forte e sicuro, aveva bisogno di essere tenuto per mano e guidato da lei? Come poteva dirle che gli bastava sentire la sua pelle per sentirsi accelerare il battito del cuore, e che non avrebbe voluto smettere di toccarla mai?

Come dirle che tenerla per mano mentre camminavano nei corridoi aveva sciolto prima la sua corazza e poi il suo imbarazzo?

Come dirle che anche se non sapeva quello che provava, era praticamente certo che fosse amore? E se avesse detto troppo? E se avesse detto troppo poco? Lei era troppo importante per essere persa per qualche parola fuori luogo...

"Forse questo non è il posto più adatto," terminò lei, posandogli una mano sulla spalla, "forse è meglio parlarne più...in privato..."

Lui alzò gli occhi per vedere arrivare una nuova coppia; si voltò verso di lei con uno sguardo che le sembrò sperduto, annuì e stringendole la mano, si avviò verso il dormitorio.

Mai come in quel momento aveva avuto bisogno della sua guida.

*~*~*~*~*

Per qualche strano scherzo del destino, quando avevano imboccato il corridoio del dormitorio si era reso conto che lei lo stava semplicemente seguendo, permettendogli di guidarla dove più si sarebbe sentito a suo agio. E per qualche strana ironia della sorte, lui aveva imboccato il corridoio dei dormitori degli ospiti, fino a fermarsi di fronte alla stanza di lei.

Era quello il posto in cui si sarebbe sentito più a suo agio.

Senza dire nulla lei svincolò la mano da quella di lui e si frugò in tasca alla ricerca della chiave; aprì la porta e gli fece cenno di entrare, arrossendo vagamente per il disordine che regnava sulla sua scrivania. "Accomodati...", gli disse con la voce tremante d'emozione mentre richiudeva la porta dietro di loro; non avrebbe saputo dire che cosa la rendeva così agitata, se l'idea che lui le avrebbe confessato qualcosa, qualsiasi cosa fosse, o la sensazione che comunque quella debolezza che aveva intravisto alla zona segreta non fosse destinata a sparire. Rimase ad armeggiare con la maniglia qualche secondo più del necessario per dargli il tempo di mettersi a suo agio e per calmarsi un po'; aveva come il presentimento che quella confessione sarebbe toccata anche a lei, e non era sicura di essere pronta a farla...accidenti alla sua curiosità, alla sua vanità...accidenti alle sue domande. Con un profondo sospiro si voltò, e lo vide seduto sul bordo del letto, e decisa a guardarlo negli occhi, si sedette sul pavimento di fronte a lui, allungando le mani a intrecciarsi con le dita con cui lui aveva pensato di nascondersi il viso.

Vedere quegli occhi pieni di attesa e di speranza lo spinse a chinarsi su di lei, per strappare un bacio brevissimo alle sue labbra; la attirò più vicino, in modo che potesse accoccolarsi tra le sue gambe stando seduta sul pavimento, e iniziò, "ecco, io...", per essere costretto a fermarsi subito dopo.

"Non andrò da nessuna parte, Squall..."

Ed ecco che pur rassicurandolo, riusciva a complicare le cose. Lui...lui...lui adorava quella dedizione completa, quei suoi tentativi di essergli accanto sempre e in qualunque modo, nonostante lui sapesse benissimo che essergli accanto non era certo semplice. Eppure lei, dopo tutto quel tempo, dopo tutte le delusioni che lui era sicuro di averle dato, era ancora lì, tra le sue gambe, le dita stretta intorno alle sue, gli occhi fissi nei suoi, che cercava di capirlo e comprenderlo e penetrava dentro il suo animo con qualche parola azzeccata. Eppure lui aveva paura di rovinarla, quella dedizione, di sgualcire quell'amore che lei gli aveva sempre offerto pacifico e perfetto e di cui lui non poteva fare a meno. E anche se si rendeva conto che Rinoa non era il tipo da mollarlo lì, da solo, per qualche parola mal combinata, la paura di essere abbandonato era troppo forte. E lei riusciva a intuire a quella paura e lenirla mentre in qualche modo la ingrandiva.

"Ho paura di farti del male..."

Non si rese conto di aver pronunciato quelle parole fino a quando lei non svincolò le mani dalle sue e avvicinandosi di più a lui, gli circondò la vita con le braccia, posandogli la testa sul ventre. Per un momento ebbe paura che lei potesse sentirgli battere il cuore, tanto gli pareva di sentirsi il battito accelerato all'inverosimile ovunque; ma poi la tenerezza di quell'ennesima dimostrazione di affetto e di comprensione da parte di lei lo vinse e si limitò ad accarezzarle i capelli. Chi se ne fregava se lei gli sentiva battere il cuore, che importanza aveva se non sarebbe riuscito a fare un discorso perfetto quanto lei lo meritava. Lei aveva dimostrato più di una volta di tenere a lui comunque, di accettare tutti i suoi difetti perché considerava i suoi pregi ben più grandi e importanti della sua abitudine a tacere i suoi sentimenti, o le sue impressioni. Lei aveva dimostrato più di una volta di amarlo così come lui era, senza volerlo cambiare, senza cercare di tirare fuori da lui cose che non esistevano. Lei meritava più fiducia, da parte sua.

E anche se fidarsi a quel punto era difficile e lui non era sicuro di potercela fare, c'era sempre quella debolezza che aleggiava in lui e gli permetteva, se non di essere fiducioso, quantomeno di essere sincero, di essere vero -e lui sapeva che a lei sarebbe bastato.

"Non so dirti cosa provo," iniziò con la voce roca per il lungo silenzio, e quasi strozzata dal suo respiro affrettato per l'emozione. "Lo sai che non sono...mai stato bravo con le parole..."

Si fermò un secondo, aspettandosi una reazione da parte di lei, che però era ancora ferma con le braccia saldamente strette intorno a lui e la testa appoggiata al suo grembo. Vinto finalmente dalla debolezza che l'aveva oramai reso completamente vulnerabile, mormorò, "mi aiuti?"

Per un momento le parve di aver capito male; abbandonò per un momento il suo ventre caldo e alzò gli occhi a osservarlo -e le parve di essere di fronte allo sguardo di un bambino abbandonato e ferito, di un cucciolo bastonato, di tutto ciò che di debole e bisognoso di protezione potesse venirle in mente. Si sollevò fino a sederglisi in braccio, circondandogli il collo e posando la fronte contro la sua; era così caldo che per un momento pensò che potesse avere la febbre. "A dirla tutta," iniziò, cercando di guardarlo negli occhi, "non so nemmeno io cosa provo di preciso...so che voglio stare con te, che mi piace abbracciarti e baciarti, che mi piace quando mi stringi, quando stai con me...so che non ti lascerei mai la mano e che se potessi non mi muoverei mai da dove sono ora..."

Lui parve trovare un po' di coraggio, mentre la stringeva a sé e si accomodava meglio sul letto in modo da potersi appoggiare al muro, sempre tenendola sulle gambe; stava per dire qualcosa quando lei terminò, "non so se questo basti per dire che ti amo. In qualche modo è come se fosse troppo, in qualche modo è anche come se fosse troppo poco e comunque non so cosa potrei dire di diverso...tu per me non sei solo un amico, sei...sei il mio cavaliere. Sei la persona che mi ha sempre protetto e che ha promesso di farlo sempre, sei la persona che mi ha sempre consolata e che mi è sempre stato accanto in qualsiasi momento, anche per le cose più stupide. Sei la persona che voglio avere accanto. E..."

La sentì deglutire, come se volesse inghiottire un groppo alla gola che aveva offuscato le ultime parole di commozione; voleva interromperla di nuovo, ma ancora lei lo sorprese continuando, "io non mi sento più sola. Non so spiegarlo, davvero...ma è come....come se tu fossi sempre al mio fianco, anche se sei...lontano, in qualche missione. E se può essere una cosa normale non sentirmi sola adesso, è...straordinario che io mi senta come se tu ci fossi sempre stato. E' quasi incredibile, ma io penso al mio futuro e vedo te, sempre...e anche quando ricordo il mio passato, quando tu non c'eri...mi sembra impossibile che sia esistito un periodo della mia vita in cui non potessi rifugiarmi da te, qualunque cosa fosse successa. E lo so che non è così," concluse scuotendo la testa, come aspettandosi che lui l'avrebbe interrotta con uno dei suoi discorsi razionali e terra terra, "lo so che è impossibile. Ma non cambia che io lo senta qui dentro," e si portò una mano al cuore, "non cambia che tu abbia....reso la mia vita....piena, ecco."

Qualche secondo di silenzio, e poi lei cercò di scherzare, "sdolcinato, mmmh?"

"No," sussurrò lui, attirandosela al petto quando sentì la sua voce rotta dal pianto, "no, non è sdolcinato...è molto...tenero..."

Rimasero fermi per lunghi minuti, il silenzio interrotto solo da qualche singhiozzo sporadico di Rinoa smorzato dalla giacca di Squall. Era strano come finalmente, dopo giorni in cui i silenzi erano stati imbarazzanti e lui cercasse freneticamente anche l'argomento più stupido di cui parlare, lui potesse ascoltare tutti i suoni che giungevano alle sue orecchie senza cercare di coprirli con il baccano delle parole. Ora era a suo agio. Lì, nella stanza che non gli apparteneva e che pareva respirare di Rinoa in ogni angolo, lì in cui il suo profumo impregnava ogni stoffa, che fossero vestiti, coperte o tendine, lì in cui ogni muro era colorato della sua vita. Lì, di fronte a tutte le fotografie scattate in quell'anno di vita comune, la festa di Selphie per la promozione di Quistis a insegnante, e tutte le immagini che la macchina fotografica aveva rubato di loro -lì di fronte a lui scorreva ciò che erano stati, in quei mesi passati insieme. Il sorriso che era diventato meno tirato sul suo volto, gli occhi di lei che parevano scintillare anche dalla pellicola, e l'alone di felicità e di serenità che sembrava ricoprire ogni fotografia.

Fotografie quasi sempre scattate a sua insaputa, e per questo più naturali, più vere, più loro. Gli pareva di vedere se stesso con gli occhi di un altro, come se fosse ora il Seed alla festa, ora il passante per le strade di Dollet, ora un amico sorridente con cui passava un pomeriggio in spiaggia. E c'era sempre quell'immagine rubata di loro, quel vedersi felici ed innamorati ed era così...incredibile poter riconoscere che era amore quello che era impresso sulla pellicola, ma essere incapace di ammettere che era amore anche dentro di lui.

Ripensò ai suoi muri bianchi e spogli, all'odore asettico di disinfettante per ferite o acre di polvere da sparo della sua stanza. Se quello era un posto in cui lui stesso non poteva sentirsi a casa, come poteva pensare di portarci Rinoa, ogni tanto?

Era quella la loro casa, la stanza in cui i muri parlavano di loro e i profumi parlavano di Rinoa.

Posando il mento sulla sua testa, si trovò a mormorare, "credo sia lo stesso anche per me..."

Il silenzio di lei e lo svanire dei suoi singhiozzi contro il suo petto lo invitò a continuare; "non ho mai...non sono mai stato abituato a sentire. Mi limitavo ad eseguire gli ordini, mi limitavo a...tenere per me quello che potevo pensare. Ero solo per questo motivo, credo. Non tanto perché ero freddo, o chissà cosa...ma perché comunque era più facile pensare di capirmi quando si poteva soltanto prevedermi, che provare a capirmi davvero..."

La sentì annuire contro di sé, e continuò, "nessuno ha mai davvero provato a capirmi. Nemmeno Quistis...lei era...non so, troppo di parte. Voleva talmente tanto riuscire a prevedere cosa pensavo che era davvero convinta di poterlo fare. Ma in realtà si illudeva...in realtà nemmeno lei ha mai provato ad andare a fondo. Si è limitata alla superficie, a quello che poteva...non so, aiutarla a sentirsi meno insegnante fallita. Credo che questo, in qualche modo, le sia servito dopo....ma tu," si interruppe per prenderle il viso tra le mani, "tu eri - sei diversa. Tu...quando gli altri se ne andavano perché io non dicevo nulla, tu rimanevi. Quando gli altri lasciavano perdere, tu insistevi a costo di ferirti e arrabbiarti...quando avete deciso di parlarmi sei stata tu a farlo. Tu...hai creduto in me. E questo...è stato come se tu fossi riuscita ad annullare il resto, capisci? E' come se...come se tu avessi annullato tutti gli altri anni di solitudine. Gli altri adesso possono anche ignorarmi, a me non importa -ma non mi importa perché ho te. E io so che tu non mi giudicheresti, so che tu non mi...lasceresti perdere. So che mi staresti accanto, e non so perché...so che sarebbe così. Lo sento, tutto lì. E..."

La strinse un momento, come per cercare ancora forza da lei; "e non so se questo basta...so che ho tanto da te, e che vorrei riuscire a darti almeno la metà di quello che sento di ricevere da te...e...e non lo so, la verità è che quando ti tengo la mano lo faccio perché piace a te ma anche a me, che quando ti abbraccio e ti coccolo lo faccio perché piace a te e anche a me. Lo faccio per noi, ecco."

E poi aveva il coraggio di dire che non era bravo con le parole...chissà cosa credeva che lei volesse sentirsi dire? A lei bastavano anche pensieri sconnessi, frasi mozze, discorsi magari anche insensati ma che lo fossero per la sua emozione. Perché lui credeva in ciò che stava dicendo e perché sapeva che si rendeva debole e vulnerabile dicendolo. Si scostò un poco da lui, per guardarlo negli occhi, prima di sentirsi accarezzare le labbra da un bacio leggero e dolce, quasi timido di paura; si sistemò meglio contro di lui e mormorò sulla sua bocca, "e come puoi pensare che tutto questo mi faccia del male, Squall?"

Lui non rispose, lasciandole il tempo di sfiorargli un millimetro di labbra alla volta con le sue; non sapeva nemmeno lui perché pensava che le avrebbe fatto del male. Ora come ora gli sembrava di aver avuto paure sciocche e inutili, perché in effetti era vero, come poteva farle del male? Al diavolo il pensare che quello che provava fosse troppo poco, per lei, al diavolo la paura di non saperle dire nulla, al diavolo tutto quanto, a lei bastava lui, a lei era sempre bastato lui, le parole erano solo un omaggio alla sua vanità, o alla sua voglia di certezze, o a qualsiasi cosa l'avesse spinta a chiedergli, mentre guardavano le stelle, cosa provi per me?

Non poteva dire di amarla. Non poteva nemmeno dirle di volerle bene perché c'era di più, c'era tanto di più...c'era la protezione, la tenerezza, la complicità, la passione, l'intimità, la voglia di toccarla sempre e di starle vicino in ogni momento -e lei come poteva pensare che fosse sdolcinato ciò che aveva detto? Diamine, era come se gli avesse letto nel pensiero.

Ma lei sembrava volere una risposta; e lui aveva già scordato la domanda, preso com'era stato dai suoi pensieri e dai baci di lei, e la sentì ripetere in un sussurro, "perché avevi paura di farmi del male?"

"Non lo so," sospirò lui, "ho come l'impressione che sia...poco. Ho come l'impressione di non averti detto praticamente nulla di quello che provo...è che io non so davvero cosa provo. Perché anche tu hai reso la mia vita più piena...ma io non so se questo basta a dirti che ti amo..."

"Non c'è bisogno di dirlo..."

Lui tacque, osservando per un momento il sorriso che adorava, che lo rilassava e che lo rasserenava, "sicura?"

Il sorriso di lei si fece più ampio, e con una risatina lo fece stendere sul suo letto per sommergerlo di coccole come era solita fare, "si, ho già capito tutto..."

Avrebbe voluto dire qualcosa, ma le labbra di lei che si premevano contro le sue, e la sua lingua che scivolava ad accarezzargli la bocca parvero risucchiargli ogni pensiero e ogni capacità di parola che poteva avere. S limitò a rispondere ai suoi gesti d'affetto, stupendosi come la prima volta del rumore dei loro baci, della loro pelle che si sfiorava e del respiro affrettato di lei contro la sua guancia; si limitò a pensare ciò che voleva dirle ed era così strano che lui riuscisse perfettamente a dire qualsiasi cosa se si trattava di dirla mentre la baciava -allora poteva urlarla a squarciagola nella sua mente e gli pareva di sentirla ridere, ridere di gioia e di spensieratezza e dell'amore tenace e fresco dei diciotto anni. Era strano perché era il momento in cui la sua mente era più annebbiata da lei, dalla sensualità del suo corpo e dalla dolcezza che era...Rinoa.

La strinse un po' quando lei abbassò la testa sul suo petto, cercando il battito del suo cuore che ora, nonostante l'emozione, si era calmato; rimase fermo ad accarezzarle la schiena, trovandosi a pensare che comunque era logico che lui riuscisse a dire qualunque cosa a contatto con la sua bocca. Era naturale perché in quella bocca e su quella pelle c'era il sapore e il profumo di ciò che aveva -perché per lui, oramai la vita e l'amore avevano quel sapore, quel profumo...sapevano di Rinoa, come quella stanza, come le lenzuola sotto di lui, come i muri pieni di colori, fotografie e ricordi.

Era un sapore che non sapeva definire. Non era dolce, aveva un retrogusto che non lo stancava mai, non era simile a nulla di ciò che conosceva. La bocca di Rinoa aveva un sapore tutto suo, particolare, irresistibile e definitivamente adorabile. Come il profumo che li avvolgeva, delicato, fresco, vagamente fruttato...l'unico profumo femminile che lui potesse dire di sopportare. E che si fondeva così alla perfezione con quello naturale della sua pelle che a volte sembrava che fosse quello il suo profumo, che comunque, in qualsiasi momento, se avesse assaporato la sua pelle, avrebbe avuto quel profumo.

Chissà che sapore aveva, la pelle di Rinoa?

Abbassò gli occhi a osservarla, scoprendola mezza addormentata; eppure non voleva lasciarla, tornare nella sua stanza spoglia di odori e sapori...voleva rimanere lì, a casa sua -casa loro, abbracciato a Rinoa sempre, tenendole la mano mentre dormiva e con la carezza del suo respiro sul petto. Significava dormire vestito, ma che importanza poteva mai avere?

"Squall, è quasi coprifuoco...", biascicò lei in mezzo ad uno sbadiglio; lui la strinse un po' più forte a sé, con un sorriso -ora era finalmente libero e non aveva più paura di fare del male a lei o a se stesso; ora la sua forza era nella sua capacità di essere anche vulnerabile -ora la sua forza era nella sua fiducia, in lei e in se stesso.

"Posso rimanere...qui?"

Lei alzò la testa così velocemente che per un momento lui temette che si sarebbe scontrata con il suo mento -ma era così bella, così stupita e insieme speranzosa, che non poté fare a meno di dimenticarsene e ridere, guadagnandosi il sorriso divertito, anche se vagamente confuso, di Rinoa; "non ho voglia di tornare nella mia stanza..."

Aveva risposto solo con un bacio, ma era stato abbastanza. Aveva risposto solo alzandosi e andando a cambiarsi in bagno, per lasciargli il tempo di togliersi giacca e maglietta e infilarsi a letto ad aspettarla. Aveva risposto stringendosi a lui nel sonno, con la sua buonanotte che gli sfiorava le labbra e il petto, e con la serenità di una persona a cui sembra di avere tutto. Ecco, anche lui adesso aveva tutto. Non aveva null'altro da desiderare, se non la persona che gli dormiva accanto; non aveva null'altro da desiderare se non quelle immagini illuminate dalla luna, sparse sui muri di quella che era oramai a tutti gli effetti casa sua. Era sicuro che alcune di quelle fotografie fossero state scattate con la complicità di Rinoa; ma era anche sicuro che quelle che amava di più erano stati momenti colti dalla macchina fotografica nella loro più naturale semplicità, lei che gli sistemava la cravatta che gli dava fastidio, lui che le scostava i capelli dal viso, lui che la stringeva per proteggerla dal vento di freddo ed infine i loro corpi abbracciati e sfiniti dalle risate sulla neve. C'era un po' della sua vita, lì davanti; c'era una ricchezza d'amore in quelle immagini, c'era una freschezza, una capacità di parlare al suo animo anche dopo mesi dall'occasione che ritraevano che non poteva fargli pensare altro che la sua vita, il suo amore, sapevano di Rinoa -sapevano di loro.

Rimase sveglio tutta la notte, con lei che gli dormiva tranquilla sul petto, a rimuginare su quanto aveva detto, sentito e fatto quella sera, con gli occhi che scorrevano sulle fotografie ricordando ogni singola occasione, ogni bacio, ogni sorriso, ogni tenera preoccupazione; pensò a quanto fosse cresciuto con qualche frase che aveva trattenuto per mesi per paura di allontanare la persona che amava, a quanto fosse stato sciocco a pensare che quella sua incertezza potesse ferirla. A quanto fosse sciocco pensare che l'amore potesse ferirla; perché per quanto l'amore potesse davvero fare male, non era rivelandolo che poteva farle del male, ma solo trattenendolo ancora di più.

Forse non era la paura di ferire lei; forse era stata la paura di fare del male a se stesso, rendendosi così debole, così vulnerabile, mostrandosi così vinto e arrendendosi a un sentimento che gli sbocciava e fioriva dentro da così tanto tempo. Forse non era la paura che fosse troppo poco, ma la paura che fosse troppo; non erano forse ragazzini di poco più di diciotto anni? Nonostante tutto quello che avevano vissuto, nonostante la crescita a cui erano stati costretti dagli eventi, non erano forse ragazzini che non sapevano parlare d'amore perché a stento sapevano di cosa si trattasse? Forse era stata l'ultima, egoistica paura di essere ferito e il desiderio di proteggersi a trattenerlo.

E solo quando Rinoa gli si strinse un po' di più, mormorando il suo nome tra i sogni, capì che lui non poteva difendersi da lei, perché non c'era motivo di difendersi dall'amore.

Fu solo molto tempo dopo, quando oramai era diventato limpido per entrambi ciò che provavano, e l'atmosfera serena del ristorante in cui si trovavano gli fece ripensare a quella conversazione, che le chiese, "perché quella sera hai detto che non c'era bisogno di dirsi nulla?"

Lei sorrise, allungando una mano ad accarezzargli il viso, e avvicinando la sedia a quella di lui, rispose, "perché avevo già capito cosa sentivamo...."

"E....?"

"E," iniziò lei, assumendo il tono da professoressa che aveva imparato ad utilizzare lavorando come insegnante al Garden, "si chiama 'amore'..."

Ricambiando il sorriso, lui le sollevò il mento con un dito, per guardarla negli occhi mentre ricordava che aveva avuto paura di farle del male dicendole cosa provava; in qualche modo, quella paura gli pareva sciocca e infantile adesso, dopo tutta la strada percorsa insieme da quella sera. E poco prima di baciarla e bersi la sua risatina, mormorò, "e non può far male..."

*****
Note dell'autrice: questa storia nasce dal mio "progetto", chiamato 5000x4, ossia due numeri sparati a caso da uno dei miei due beta-reader, Tomislav. Il primo, 5000, indica il numero massimo di parole che posso utilizzare; il secondo, 4, indica invece il tempo massimo in cui scriverle, ossia 4 ore. Questa è stata la prima prova, su un tema scelto dalla mia beta-reader nuova nuova, Idreim. I motivi di questo progetto sono spiegati nel mio blog di racconti, Wide Awake, e vi invito a vedere là come mai ho deciso di iniziare questa "avventura", perché per me questa cosa è soprattutto una sfida, oltre che un modo per rilassarmi^^ Infine, vi devo dire che questa one-shot, come quelle che la seguiranno e che saranno raccolte tutte qui, sono ispirate alla Writing Community 52 flavours. La pagina è in inglese, ma comunque una breve spiegazione di cosa sia una Writing Community, come funzioni e perché io ci scriva nonostante non sia iscritta l'ho data nel mio blog, allo stesso post che vi ho linkato più sopra. Come al solito, ringrazio i miei beta-reader e in particolare Tomislav che ha corretto questa, e vi dico che risposte ad eventuali commenti e critiche saranno postate sul mio blog Wide Awake, per non occupare spazio qui.

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